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GIORGIO MORODER, L'ITALIANO CHE CREO' LA DISCO

L'ESTATE DEL 2015 HA SEGNATO IL RITORNO DELL’UOMO CHE INVENTO' DONNA SUMMER E LA DISCO MUSIC

pubblicato da Benny Quinto

FIRENZE - Prima una voce alterata dal vocoder e poi come una vibrazione. "Ed è arrivato anche Giorgio Moroder con la sua From Here to Eternity, annuncia il deejay. Sul suono alieno e secco come un colpo di frusta, un timbro maschile sibila "Baby gives me lovin'/ leaves me nearly nothin'/ nothin' left with me". Oscurità e mistero. E poi un ritornello. Dietro, una sensuale, orgasmica voce femminile. Quasi sei minuti che ridefiniscono l’elettronica. Era il 1977 e allora la si chiamava con sufficienza "disco music". Oggi From Here to Eternity viene considerato un album-capolavoro e Giorgio Moroder è stato di nuovo catapultato al successo planetario grazie al brano-dedica intitolato Giorgio by Moroder dei Daft Punk, signori miliardari dell’elettronica-dance contemporanea. Ha 75 anni, Re Giorgio, ed è quel distinto signore con camicia blu a pallini bianchi che si palesa nella hall di un lussuoso hotel fiorentino. È in forma splendida. A segnare l’età solo i suoi celebri baffi, un tempo inevitabilmente a manubrio (e forse fu proprio lui ad aver fatto scuola), oggi candidi. Di lui Brian Eno disse: "Ho sentito il suono del futuro". Era di nuovo il 1977. L’anno del punk. E della disco. E questa è la storia dell’italiano che l’ha inventata.

Quando ha capito che voleva fare il musicista? "A quindici anni suonavo la chitarra e volevo già diventare un compositore. Un giorno ho sentito un pezzo di Paul Anka, Diana, che potevo anche cantare e così ho iniziato. Venivo da un piccolo paese senza contatti con il mondo esterno e fare il musicista era un sogno, ma un sogno che mi sembrava impossibile realizzare". E invece… "Invece a poco a poco è diventato realtà: a diciannove anni mi hanno offerto un impiego come musicista professionale e così ho girato l’Europa per cinque o sei anni. Allora la musica buona si ascoltava su Radio Luxemburg: Elvis, The Platters, The Trashmen, i gruppi neri. Un mio amico aveva un registratore professionale e avevamo inciso un pezzo. Suonavamo negli alberghi di sera e di giorno, con due registratori Revox facevo i miei esperimenti, registrando dall’uno all’altro. Poi sono andato a Berlino dove avevo una zia e lì ho trovato lavoro come tecnico del suono. Ma dopo un mese l’ho lasciata: volevo fare il compositore, non il tecnico. Il primo successo in questo ruolo l’ho avuto con un pezzo in tedesco per Ricky Shayne: la canzone fatta per lui ha venduto centomila copie. Allora era un buon risultato, oggi sarebbe una cosa incredibile". Lei è nato a Ortisei, Val Gardena: tutti si chiamano Moroder da quelle parti. Che lingua parlava da ragazzo? "In effetti è un cognome diffusissimo. Viene da 'mureda' che era la prima casa fatta con le mura invece che usando il legno. Da lì 'moreda', 'morida', 'moruder', 'moroder' e così via. Si parlavano tre lingue: italiano, tedesco e ladino". Un cognome che pare fatto apposta per il mondo dello spettacolo. Ha ancora parenti lì? "Ho tre fratelli: uno abita ancora a Ortisei, uno a Salisburgo e uno tra Vienna e Ortisei. Ci telefoniamo quasi tutti i giorni". In famiglia ci sono altri musicisti? "Mio padre era concierge negli alberghi. Suonava il piano, ma solo se poteva leggere la musica. Il pianoforte che aveva era talmente stonato che non ho mai avuto la possibilità di praticarlo, ed è stato un peccato. Mio fratello, che ha tre anni più di me, prendeva lezioni di fisarmonica, non so perché lui sì e io no. Poi ho incominciato a suonare la chitarra da solo".

gli inizi della carriera, negli anni Settanta, andava nelle discoteche per guadagnare qualcosa. Che cosa suonava? "Giravo con un nastro con sette-otto pezzi e prendevo dei dischi: ero una sorta di dj. Guadagnavo 300 marchi e spesso mi fermavo a dormire in macchina per risparmiare. Anche perché ti davano da bere e quindi era meglio non rischiare…". È stata dura? "L’unica cosa buonissima che abbiamo fatto con il gruppo di allora fu decidere: smettiamo tra un anno, ognuno metta via tutti i soldi che può. Io avevo 16.000 franchi svizzeri, oggi forse circa 100.000 Euro. Ci ho vissuto per due anni a Berlino. Ci sono stati anche momenti in cui non avevo più un soldo. Ma per fortuna è arrivata la canzone di Ricky Shayne e poi un secondo grande successo con Mendocino che ha venduto un milione di copie. Poi da Berlino sono andato a Monaco". Perché? "A Berlino c’era il muro, era triste. E poi è a Monaco che ho incontrato Donna". Come è successo? "Era il 1974. Con Pete Bellotte, che era il mio produttore, avevamo bisogno di una voce femminile e si è presentata Donna. Ci ha subito colpiti. Abbiamo fatto due pezzi con lei, The Hostage e Lady of the Night. E poi è arrivato Love to Love You Baby che ha lanciato Donna e segnato la mia carriera". Ci sono molte storie su come è nata Love to Love You Baby… "Beh è andata così. Io le ho detto: 'Voglio fare qualcosa di veramente sexy e ho in mente un titolo'. Siamo andati in studio e la questione era che Donna avrebbe dovuto simulare un orgasmo. Lei però non se la sentiva e allora ho buttato fuori tutti, compreso il marito e…". E…? "C’è riuscita". Quindi c’era solo lei con Donna in studio… "Esatto. Per scherzo infatti dico sempre: 'Immaginate un po’ a chi si è ispirata'…". Ed è vero? "Non lo so. Io avevo un po’ di luce nella 'control room' ma non credo proprio che...". Donna era molto giovane... "Era una bella ragazza, aveva una magnifica voce. Quando le ho detto che avremmo fatto uscire il disco era contenta, ma anche un po’ preoccupata. Sa, in quegli anni per una donna non era facile e lei veniva da una famiglia molto religiosa. Quando siamo tornati negli Stati Uniti infatti c’erano i genitori e le sorelle che non mi hanno neanche salutato: pensavano che fosse colpa mia. D’altronde con quel pezzo abbiamo venduto credo più di tre milioni di dischi e lei è diventata una superstar. Eravamo al numero uno dappertutto".

In pratica la disco music l’avete creata voi. "C’erano degli altri pezzi, non credo di poter dire che siamo stati i primi: c’era una canzone che si chiamava Rock the Boat. Però è vero che siamo stati i primi ad avere uno straordinario successo in radio e ovviamente nelle discoteche". Chi era il vostro principale rivale? Cerrone? "No, Cerrone no, poveretto. L’unico vero rivale era Nile Rodgers, perché lui aveva gli Chic ma anche Sister Sledge e altri tre o quattro gruppi". Ma è vero che lei allo Studio 54 di New York c’è stato una sola volta? "Quando ero in testa con Love to Love You Baby ho deciso che dovevo andare a vedere: tutti parlavano di quel locale. C’era una fila enorme. Quando siamo entrati era vuoto! Non facevano entrare nessuno perché non c’è nulla come una lunga coda fuori per indurre la gente ad andare in un posto". Ma lei ballava? "No, non ho mai ballato in vita mia". Davvero? "Ogni tanto a Monaco ci andavo, ma più che altro per vedere che succedeva, quali pezzi funzionavano…". Lavorava sempre. "Quando Donna è diventata numero uno e io con lei, sì, ero sempre in studio, giorno e notte". Nelle discoteche giravano molte droghe, cocaina soprattutto, basta pensare a film come Boogie Nights. "A Monaco non c’era niente, mentre a Los Angeles come le ho detto io lavoravo e basta. I miei musicisti, loro sì, andavano avanti tutta la notte e so che prendevano droghe. Ma io no". La molto vituperata disco music in realtà ha portato avanti alcune istanze di liberazione di cui il rock come quello dei Led Zeppelin o degli Who, molto amato dai critici, non si è mai fatto portatore. "La disco è stata un fenomeno non solo musicale ma anche di costume con la gente che si vestiva in un certo modo e l’affermazione del movimento gay che prima di allora era nascosto. Con Love to Love You Baby e I Feel Love si sono sentiti liberati". Quelli però erano anche gli anni del rock appunto: nel 1977 c’era addirittura stata l’esplosione del punk. "Tutti quelli che amavano il rock odiavano la disco". Ma perché? "Si sentivano superiori e la disco per loro era troppo femminile, troppo gay, happy music, si ballava… Però c’è una certa contraddizione perché il rock, a parte la contestazione del Vietnam, alla fine politicamente non ha fatto niente, riaffermando anzi certi stereotipi da macho". A un certo punto è nato addirittura un movimento chiamato "Disco sucks!" culminato nei disordini della cosiddetta "Disco Demolition Night" del 12 luglio 1979. "Bisogna dire però che tutto questo fu anche dovuto al successo della disco: c’è stato un momento in cui tutti, ma proprio tutti, si sono messi a fare disco music, comprese band-icone del rock come Kiss o Rolling Stones. C’erano troppi pezzi e troppo brutti: cose tipo Ring My Bells di Anita Ward. Insomma il genere si era inflazionato e così arrivò il momento del rifiuto. Io però non me ne sono neanche accorto, perché allora mi stavo già dedicando alla composizione di colonne sonore. Mi ero già reso conto che non poteva durare". E poi che cos’è successo? "Eh, per Donna è stata dura: non è più riuscita a reinventarsi come, che so, Madonna. È stato anche un errore mio: quando abbiamo fatto Hot Stuff, che era più rock, avremmo dovuto fare un disco su quel versante". Con Donna Summer lei ha avuto uno straordinario rapporto anche umano. La vedeva negli ultimi anni della sua vita? "L’ho vista di più negli ultimi due anni che nei venti precedenti perché eravamo vicini di casa, a Los Angeles, dove vivo tuttora. L’avevo invitata per un pranzo e a lei il nostro palazzo è piaciuto moltissimo per cui ha comperato l’appartamento di sotto: mi diceva che poteva sentirmi quando suonavo il pianoforte". Poi si è ammalata… "Non mi ero accorto di nulla. Perché era sempre a dieta e mi diceva: 'Sai, ho trovato dei succhi naturali, vedi che sto perdendo peso?'. In realtà dopo la sua morte, avvenuta tre anni fa, ho capito: lei non voleva più fare la chemioterapia e stava cercando di seguire una terapia alternativa che purtroppo non è servita". Lei ha lavorato con tutti, David Bowie compreso. "Fu grazie a Brian Eno. Aveva sentito il mio pezzo I Feel Love e mentre stava incidendo a Berlino con Bowie e gli disse: 'David, ho ascoltato la musica del futuro'. Qualche tempo dopo con il regista de Il bacio della pantera, Paul Schrader, siamo andati da lui e in mezz’ora abbiamo registrato Cat People: perfetto. L’ha poi ripreso Quentin Tarantino in Bastardi senza gloria. Ha anche detto che gli piaceva così tanto che aveva sempre voluto usarlo per una scena che durasse quanto tutta la canzone". Parliamo di cinema. Lei ha vinto tre Oscar con altrettante colonne sonore. "Sì, uno nel 1979 per Fuga di mezzanotte. Il secondo nel 1984 per What a Feeling in Flashdance e il terzo nel 1987 per Take My Breath Away in Top Gun". Come è nata invece la collaborazione con i Daft Punk che due anni fa l’ha riportata sulla cresta dell’onda? "Mi hanno chiesto di raccontare la storia della mia vita davanti a una serie di microfoni nel loro studio". E quando poi ha sentito il pezzo a lei intitolato, Giorgio by Moroder? "Sono rimasto a bocca aperta. Non avevo la minima idea di come l’avrebbero utilizzato". E ora non solo ha fatto un nuovo album, Déjà-Vu, con una parata di stelle che vanno da Britney Spears a Sia e Kylie Minogue, ma adesso ritorna, anche in Italia con una serie di concerti a Roma e Milano. "Sa qual è la cosa che mi fa più piacere? Che alcune delle ospiti non erano ancora delle star quando abbiamo inciso il disco, come Sia, come Charlie XCX: insomma sono contento di non aver perso il tocco dello scopritore di talenti". Qual è il suono del futuro? "Non lo so (ride, ndr). E se lo sapessi non ve lo direi".

FONTE: http://www.repubblica.it/