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CLAUDIO COCCOLUTO - CHE COS'E' UN DJ?

CLAUDIO COCCOLUTO RISPONDE ALLA NOSTRA DOMANDA

pubblicato da Benny Quinto

Claudio Coccoluto risponde alla nostra domanda "Che cos'è il dj" e traccia un quadro piuttosto chiaro su come si è evoluto questo mestiere dagli anni 2000 ad oggi.

Non so se hai avuto modo di guardare un po' le altre interviste di questa serie per farti un'idea del format... Sì, leggendo un po' ho visto che ci sono molti tratti in comune, al di là dell'estrazione musicale o della differenza d'età. Questo mi dà molta fiducia sul fatto che la figura del dj, la sua iconicità per così dire, sia ancora ben definita, al contrario di un pensiero debole che vuole che il dj sia diverse cose, un minestrone di ingredienti che io non sento appartenermi. Il marketing si è negli anni appropriato di questo ruolo, di questa figura, e lo ha plasmato e lo plasma secondo i propri fini. È una nota un po' amara con la quale iniziare un'intervista, me ne rendo conto, però è vero che all'inizio il dj aveva una collocazione ben definita, per quanto forse in maniera ingenua, naif... I soldi come al solito hanno scombussolato tutto.

Possiamo partire dall'idea che il dj sia fondamentalmente un grande collezionista di dischi che non vede l'ora di condividere questa passione con gli altri, che non vede l'ora di mettere quel disco particolare perché vuole entrare in contatto con gli altri per il tramite della musica? Assolutamente. Questa è la mia definizione tipo ed è anche quello che fa scattare la molla del volere essere dj, a prescindere da ogni fine carrieristico e di successo. So che sembra una banalità dirlo ma davvero faresti questo mestiere anche se non ti pagassero, ed è questo il quid che fa di un dj un dj. Dicendo questo stiamo tracciando un solco che già esclude una bella fetta di parvenu che fanno questo mestiere perché mirano ad altro. Prendendo la mano con il djing interviene poi anche il desiderio di stupire le persone che hai di fronte, nel senso di trovare delle chiavi nella musica che possano emozionare a prescindere dalla consapevolezza che le persone che ti stanno ascoltando hanno della musica stessa. E questa è una delle mie motivazioni ormai da quasi tre decenni. Far ballare quello che tu non avresti mai pensato di ballare è l'elemento avventuroso del fare il dj.

Se dovessimo indicare sul calendario una data di inizio di quel fenomeno di commercializzazione della figura del dj di cui dicevi, dove potremmo puntare il dito? Gli anni '90 con il fenomeno della dance e delle grandi discoteche sparse in tutto il paese? Non credo sia stato quello il momento sai. Gli anni '90 sono stati il decennio delle inconsapevoli cavalcate nelle praterie. C'erano un sacco di serate, feste, dove ti chiamavano andavi a suonare, l'entusiasmo era a mille... Negli anni 2000 abbiamo incominciato a farci qualche calcolo, qualche sponsor incominciava ad interessarsi alle serate, insomma qualcuno ha cominciato a pensare “Qui c'è del business da fare”. Tutto poi è diventato molto più concreto sul fronte del marketing quando l'industria discografica ha cominciato a perdere potere di attrazione con le popstar. Probabilmente in quel momento i dj sono diventati appetibili e questo ha smosso tutta una serie di strumenti di marketing che non solo a noi dj erano sconosciuti, ma addirittura preclusi. Qui sto parlando di scena musicale internazionale: ricordo ancora una copertina di un magazine inglese che ritraeva Judge Jules, che potremmo definire un po' l'Albertino inglese, a cavallo in una posa piuttosto napoleonica... Quando vidi quella copertina mi dissi “Adesso va tutto a puttane” perché ho cominciato a pensare che l'ego delle persone, di alcuni dj, stesse cominciando a sopraffare la passione che dovrebbe animare chi fa questo mestiere. Poi sempre in quel decennio c'è stata la grande espansione commerciale di Ibiza non più come meta della musica alternativa ma come luogo dei mega eventi, delle mega discoteche, i cartelloni per le strade... Tutte cose che prima di allora erano sconosciute perché ti ricordo che negli anni '90 i superclub nel mondo erano davvero pochi e se ne parlava come di templi della musica.

Si è parlato per un periodo anche di quanta pressione venisse esercitata da alcuni pr e direttori artistici affinché i dj si orientassero verso un certo tipo di suono piuttosto che un altro proprio per fare cassa...A me sinceramente non è mai successo nella vita, e questo direi anche grazie all'ambiente nel quale ho sguazzato io, cioè quello della house nelle sue varie declinazioni... In quel contesto il parere del promoter o di altri non è mai stato contemplato e anzi, tentare di suggerire un mood per una serata è sempre stata la mossa sbagliata da fare con me e con i miei colleghi. Noi abbiamo sempre un po' ingenuamente rivendicato questa appartenenza ad un underground che forse era più una cosa che ci raccontavamo noi che la realtà vera ed effettiva. Però mai mi sarei aspettato che saremmo arrivati ai livelli di oggi, del 2015: parlo delle cifre che si sentono girare nel mondo dell'edm, che assomigliano molto ad altre bolle speculative di cui abbiamo sentito parlare in altri contesti.

Stavo giusto per arrivare all'inevitabile domanda sul mondo della edm e dei festival come Tomorrowland, con le infinite polemiche su ciò che effettivamente facciano i dj che stanno sul palco, eccetera... Guarda, ti posso rispondere in due modi: se quello è il dj industriale io sono un artigiano, e voglio rimanere tale. Poi posso aggiungere un'altra cosa che ho già avuto modo di dire in un post che scrissi su David Guetta, e non perché ce l'avessi con lui ma perché lui è un nome famoso in quel mondo lì: io e lui facciamo semplicemente due mestieri diversi e non trovo giusto che questi personaggi siano identificati con il nome di dj dato che quell'etichetta, come scrissi ironicamente, “era già occupata”. Voglio dire, c'eravamo già noi lì a faticare con il giradischi perciò mi viene da dire “Trovati un altro nome per definire quello che fai tu”. Fra l'altro mi sta benissimo che questi facciano quello che vogliono, e machiavellicamente non posso che ammirare il fatto che riescano a fare quei soldi con quello che fanno, però poi alla gente si confondono le idee e mi ritrovo con quelli che mi chiedono “Ma tu a coriandoli come sei messo? E le fiamme? CO2 ne abbiamo?” ...e io che cosa gli rispondo che me ne arrivo con la mia valigia di vinili e le puntine che ormai mi tocca portare sempre appresso? Perché considera che suonare con i vinili ormai è diventata un'avventura nell'avventura... Però sono cose che uno fa con il sorriso perché alla fine noi siamo delle vestali della musica: non siamo dèi ma servitori del Dio-Musica. E ci vorrebbe quel rispetto sacrale, quella forma di umiltà che uno dovrebbe avere dentro per principio.

Questo rispetto di cui parlo, nel fenomeno edm così come in ogni forma di speculazione economica nel mondo della musica, è completamente azzerato. Tutta quella gente con i telefonini che riprendono i fuochi d'artificio non ha niente a che vedere con gli anni che ho speso a dare il mio piccolissimo contributo alla club culture che è una roba piccola, intima, cioè tutta un'altra dimensione della condivisione della musica. E il problema sai qual è? Che è difficile dire queste cose senza fare sempre la figura del rosicone. Io non riesco a non pormi in maniera critica di fronte a questi fenomeni, è il mio modo di vivere, e mi sono sempre fatto una domanda riflettendo sui generi musicali con i quali sono venuto in contatto: che cosa penserò fra dieci anni di quello che sto ascoltando o suonando? Non so che cosa potremmo rispondere delle produzioni edm.

Tu hai anche una lunga esperienza in qualità di dj radiofonico. Come ha influito sul tuo modo di interagire con il pubblico quella dimensione, così diversa dal mondo del club? Il mio vero inizio è stato proprio nel mondo radiofonico quando ancora avevo tredici anni, quindi direi che sotto questo aspetto ho fatto delle esperienze più che significative. La possibilità di comunicare attraverso la musica è stato il mio vero impeto perché fondamentalmente io non sono mai stato incline al ruolo di speaker: per me è sempre stata musica per la musica. Per questo mi è scattato il trip del dj da club, perché hai una risposta immediata da parte del pubblico che nella radio ti manca. La radio è necessaria, forma le consapevolezze musicali degli ascoltatori che poi ti ritrovi in discoteca. Tant'è vero che noi paghiamo lo scotto di programmazioni musicali che definire banali suona quasi complimentoso. Specialmente a livello di network direi che stiamo vivendo gli anni più bui della radiofonia, quanto meno in Italia. Si tratta di un vero e proprio danno culturale secondo me. E non apro il capitolo televisione ovviamente...

Però la fame di contenuti di qualità in realtà ci sarebbe Assolutamente. Lo vedo con mio figlio che ha ventun'anni. So che le generazioni di oggi attingono a tutte le fonti possibili per cercare quegli stimoli di cui hanno bisogno. Però lo fanno in maniera caotica proprio perché non c'è una guida, e non sembra che chi programma voglia approfittare di questa fame.

Per me è sconcertante pensare che chi dovrebbe conoscere il pubblico al quale si rivolge non senta queste esigenze, non le sappia interpretare e guidare. Ma è un po' come in politica no? Loro hanno la delega e fanno come gli pare.

Temo che le due cose vadano a braccetto: bolla speculativa nel settore tecnologico, grandi eventi, demagogia politica... tutti prodotti della stessa pentola. Lo vediamo nel discorso dei festival perché lì c'è proprio l'idea di indirizzare un consumo. Che è una cosa inaccettabile perché la musica, per definizione, dovrebbe essere libera da ogni steccato. Purtroppo i media di oggi, e in particolare i social network, sono in grado di creare delle suggestioni collettive che sono quasi incontrollabili. E chi ha le chiavi di queste alchimie è in grado di operare un controllo spaventoso.

FONTE: rockit